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1959 - 1969

Gli anni sessanta e l’impegno nell’automobilismo sportivo

Agli albori degli anni sessanta Henry Ford II considera passo di fondamentale importanza per il definitivo rilancio del marchio ovale l’ingresso ufficiale nel mondo delle competizioni automobilistiche.

Se l’esperienza vissuta da suo nonno Henry I ad inizio secolo aveva avuto una valenza del tutto sperimentale e per molti aspetti pionieristica, la partecipazione alla Panamericana con il Team Lincoln aveva dimostrato che, dotandosi delle dovute risorse finanziarie e tecniche, la gestione di una squadra corse può essere alla portata anche di un costruttore privo di esperienza specifica in tale ambito.

Henry Ford II e gran parte dei suoi più stretti collaboratori sono inoltre da tempo consapevoli che l’ingresso ufficiale nel Motorsport, oltre a garantire una notevole visibilità al marchio, può diventare un importante strumento per testare soluzioni tecniche che potrebbero rivelarsi molto utili sui veicoli prodotti in serie: nel 1953 è quindi istituita la Ford Advanced Vehicle Operations, unità autonoma con sede a Slough nel Berkshire, istituita per la progettazione e lo sviluppo di vetture ad alto profilo prestazionale sotto la direzione di Roy Lunn.

Per quel che riguarda la produzione seriale gli anni sessanta iniziano all’insegna del down-sizing, l’opulenza che aveva caratterizzato gli anni cinquanta è definitivamente messa da parte in favore di silhouette più rassicuranti e semplici.

In città come New York e Los Angeles il traffico urbano è ormai un problema tangibile ed il mercato inizia gradualmente a chiedere vetture meno ingombranti: le linee di cintura si abbassano, le fiancate si liberano del superfluo e le cromature sono utilizzate con maggior equilibrio.

Prende così vigore il settore delle “Compact Car” nel quale la Ford entra nel 1959 con la Falcon, berlina con telaio monoscocca che, disponibile anche in versione station wagon, è equipaggiata con un propulsore sei cilindri da 2300cc.

Nonostante l’iniziale scetticismo dettato proprio dalle dimensioni e dalla cubatura del propulsore, entrambi considerati eccessivamente ridotti se rapportati agli standard vigenti sino a quel momento sul mercato statunitense, il successo della Falcon è immediato e insieme alla Studebaker Lark, anch’essa datata 1959, diventa un format al quale di lì a poco dovrà adattarsi anche GM che nel 1960 lancia la Chevrolet Corvair.

Nel marzo del 1960 ha inizio la commercializzazione tramite la rete Mercury della Comet, vettura equivalente alla Falcon e da questa derivata che nei piani di Dearborn sarebbe dovuta però nascere sotto l’egida del marchio Edsel che nel 1959 era stato soppresso.

In quegli anni Henry Ford II incarica il direttore generale Lido Anthony Iacocca, ingegnere di origine italiana entrato in azienda già nel 1946, di sviluppare una vettura compatta sportiva capace di entrare nei desideri di quei giovani americani che, nati nella seconda metà degli anni quaranta e  cresciuti nel pieno benessere, iniziano ad avvicinarsi al mercato dell’auto manifestando esigenze di gran lunga superiori rispetto a quelle dei loro padri.

L’idea di Lee Iacocca è quella di dar vita ad una sportiva vera che, proposta ad un prezzo accessibile, possa agevolmente posizionarsi sul mercato; lo sviluppo del progetto è affidato a Eugene Bodinart e Herb Mish che iniziano a lavorare su di un telaio tubolare con sospensioni a ruote indipendenti, freni a disco anteriori e assetto regolabile.

Prende così vita un’avveniristica barchetta lunga 3,90 metri con carrozzeria in alluminio, fari anteriori a scomparsa e motore posteriore centrale V4 di derivazione Taunus M che prende il nome di Mustang I.

Il 7 ottobre del 1962, in occasione del U.S. Gran Prix di Formula Uno, la Mustang I è presentata come concept car e compie alcuni giri dimostrativi condotta dal pilota Dan Gurney che riesce ad ottenere tempi di poco superiori rispetto a quelli delle Formula Uno.

La vettura grazie ai pesi contenuti e al settaggio del motore Cologne V4, che alimentato da due carburatori Weber DCO eroga una potenza superiore ai 100 Hp, spicca per qualità dinamiche, maneggevolezza e tenuta di strada.

L’apprezzamento da parte di tutti gli addetti ai lavori presenti conferma la validità di un progetto che nel suo insieme non convince del tutto Lee Iacocca, che rimane orientato verso una vettura 2+2 capace di posizionarsi tra Falcon e Thunderbird.

Ha inizio una seconda fase di studio durante la quale sono vagliate svariate soluzioni basate su telai di vetture già in produzione, giungendo anche a valutare l’ipotesi XT-Bird, vettura basata su di un telaio Thunderbird accorciato e rimodellato sul pianale Falcon.

Nel 1962 Henry Ford II, Lee Iacocca ed Eugene Bodinart decidono di ricominciare da capo imponendosi questa volta dei parametri certi tra cui peso non superiore ai 1200 kg, lunghezza massima di 4,50 metri e impiego, ove possibile, di componenti meccaniche derivate dalla Falcon.

Quattro squadre di tecnici e stilisti supervisionate da Bodinart si mettono quindi al lavoro e il 16 agosto i quattro modelli di plastilina sono esposti in gran segreto ai vertici aziendali presso il Centro Stile Ford.

L’attenzione di Lee Iacocca è immediatamente catturata dal modello sviluppato dal team di Joe Oros, Gail Halderam e David Ash che rappresenta pienamente lo stile innovativo e coinvolgente che deve avere la sportiva creata ad hoc per i giovani statunitensi.

Con l’approvazione del modello parte una fase di sperimentazione durante la quale vedono la luce anche prototipi con carrozzeria a quattro porte e hatchback, messi però subito da parte in favore della coupé tre volumi, della convertibile e della fastback.

Il nome Mustang, in un primo momento messo da parte, è scelto definitivamente per il suo potere fortemente evocativo: Mustang è infatti il nome con cui sono identificati i cavalli che, un tempo importati dagli spagnoli in Messico, vivono allo stato selvatico nelle praterie statunitensi.

Il cavallo mai domo è quindi oggetto di un lavoro di stilizzazione grafica da cui trae origine il badge cromato che, posizionato sulla mascherina anteriore, diventerà simbolo forte e conosciuto quanto un vero marchio di fabbrica.

Nel 1963 si prospetta la possibilità di entrare nel mercato delle auto sportive dalla porta principale: Enzo Ferrari, deciso a cedere il pacchetto di maggioranza della SEFAC S.p.a. (dal 1965 Ferrari S.p.a.), considera la Ford Motor Co. unico ed affidabile interlocutore.

Alcuni dirigenti partiti da Colonia visitano lo stabilimento di Maranello ed iniziano ad intavolare una trattativa del valore complessivo di diciotto milioni di dollari che mai si perfezionerà.

Henry Ford II e Lee Iacocca decidono quindi di far partire ufficialmente l’operazione “Ford High Performance” investendo in maniera consistente sull’unità A.V.O.

Proprio nel 1963, durante lo svolgimento del Salone Mondiale delle Automobili da Corsa di Londra Roy Lunn rimane favorevolmente colpito da una vettura esposta allo stand della Lola Racing Cars, piccola azienda fondata negli anni cinquanta dal progettista Eric Broadley con sede a Bromley nel South London.

Si tratta della Lola GT Mk 6 vettura con carrozzeria in fiber glass e telaio monoscocca in alluminio su cui sono imbullonati in posizione centrale la trasmissione manuale a quattro rapporti progettata dal modenese Valerio Colotti ed un potente motore Ford V8 da 4,7 litri.

Lunga 3,90 metri, larga 1,60 metri e alta da terra poco più di un metro, la Lola GT si era fatta notare l’anno prima nel campionato Sport prototipi, forte di un peso contenuto in 950 kg e di una potenza pari a circa 298 Kw.

Il trentenne Eric Broadley, pur non avendo sino a quel momento avuto rapporti diretti con la Ford, aveva di fatto contribuito a sviluppare definitivamente quell’idea di auto performante ed estrema da cui, solo pochi anni prima, era nata la concept Mustang I; Broadley entra così a far parte dell’unità Ford A.V.O.

Seguendo lo schema della Lola GT Mk 6 parte lo sviluppo della prima vera sportiva estrema firmata Ford; i tecnici iniziano subito a lavorare su di un telaio monoscocca in acciaio leggero calibrato sul quale è montata una carrozzeria in fiber glass rinforzato che è frutto di accurati studi aerodinamici condotti nella galleria del vento.

Il posizionamento del motore rimane centrale, la trasmissione continua ad essere affidata ad un cambio manuale a quattro rapporti Colotti, la frenata è garantita da un sistema a quattro dischi Girling mentre lo schema a ruote indipendenti con quadrilateri articolati, molle elicoidali e barra antirollio è adottato congiuntamente su asse anteriore e posteriore.

Individuato nel V8 Ford “Indianapolis” da 4,2 litri il propulsore più adatto, hanno inizio i primi test su pista che sono condotti da Bruce McLaren e Roy Salvadori con la supervisione di Carrol Shelby, ex pilota texano con trascorsi in Maserati e Aston Martin.

Il V8 Ford, alimentato con quattro carburatori doppio corpo Weber, eroga una potenza massima di 380 hp che, dato il peso molto contenuto di 828 kg della vettura, consentono di toccare una velocità massima superiore ai 200 chilometri orari.

Nasce così la prima Granturismo della Ford che, lunga 4,02 metri e larga 1,77 metri, è chiamata GT 40 indicando così anche nel suo nome l’altezza di quaranta pollici che è imposta dalla FIA a tutte le vetture destinate alle gare di endurance.

Il 1 aprile 1964 la GT 40 esordisce ufficialmente all’Auto Show di New York dove in livrea bianco-blu è esposto l’esemplare con punzonatura di telaio GT/101, ovvero il primo assemblato che è equipaggiato con cerchi da 15 pollici Borrani, specifica gommatura Goodyear ed ha ovviamente la guida a destra.

A distanza di pochi giorni il team Ford vola in Francia per partecipare alla 24 Ore di Le Mans, competizione che per la prima volta nella sua storia vede schierarsi una vettura progettata e costruita dalla Ford; l’esperienza si rivelerà fallimentare, la GT 40 è infatti molto veloce ma una distribuzione dei pesi non ottimale la rende troppo leggera sull’avantreno motivo per cui, congiuntamente al verificarsi di avarie tecniche imputabili all’utilizzo di componenti meccaniche rivelatesi inadeguate ad un uso estremo, nessuna delle quattro vetture partite concluderà la gara.

Nel frattempo il 13 aprile 1964 è sempre la città di New York ad ospitare la presentazione alla stampa della neonata Mustang, occasione in cui alcuni esemplari sono affidati ai giornalisti per una prova su strada che prevede un viaggio sino alla sede di Detroit.

La commercializzazione ha inizio quattro giorni dopo, offerta ad un prezzo base di 2380 dollari la Mustang è proposta in versione coupé e cabrio con un propulsore sei cilindri in linea da 2,8 L e due otto cilindri a V da 4,2 e 4,7 L.

I numerosi optional disponibili, congiuntamente ai tre diversi propulsori appena citati, rendono la Mustang un prodotto variamente configurabile in base ai gusti e alle esigenze degli acquirenti.

Il primo esemplare venduto è quello con la punzonatura di telaio numero 100001, una convertibile di colore Wimbledon White che è acquistata dal trentenne pilota di linea Stanley Tucker.

Il successo è immediato e i concessionari Ford, che solo dopo pochi giorni di commercializzazione non sono più in grado di garantire i tanti ordini ricevuti, rilevano il grande interesse mostrato verso il modello da parte di ragazze e giovani donne; ad un anno dal suo lancio la gamma si completa con l’ingresso in listino della fastback che proprio Carrol Shelby utilizzerà come base per sviluppare la fenomenale GT 350.

Nell’inverno 1964 la direzione del progetto GT 40 è delegata alla Shelby American Team, ha così inizio un accurato processo che, finalizzato ad eliminare le criticità emerse in gara, porta alla modifica di ben ventuno componenti meccaniche.

All’inizio della stagione 1965 la GT 40 oltre ad essere più affidabile, è anche più veloce e potente grazie all’impiego del V8 Ford da 4,7 L ma i risultati continuano ad essere una chimera.

Spetta ora a Roy Lunn intervenire in maniera risolutiva e nasce quindi la GT 40 Mark 2 che sin dai primi test condotti in Michigan sull’ovale di Romeo si dimostra affidabile e velocissima, il V8 Ford da 7 litri le permette di toccare una velocità massima di 320 km/h.

La stagione 1966 porta le prime vittorie che arrivano con la 24 Ore di Daytona e la 12 Ore di Sebring, la GT 40 sembra ormai pronta a far bella figura anche a Le Mans dove la Ford manda ben otto vetture ufficiali.

La competizione è aperta anche a scuderie private e tenendo conto che su 55 vetture iscritte ben 27 risultano essere Ford o Ferrari, lo scontro diretto con il Cavallino Rampante appare da subito evidente.

In qualifica le GT 40 ottengono le prime quattro posizioni con Dan Gurney che, abbattendo il tempo ottenuto l’anno precedente dalla Ferrari, fa registrare il nuovo record del circuito.

Quanto accaduto in prova è confermato in gara dove, dopo 360 giri e il ritiro alla diciassettesima ora dell’ultima Ferrari ufficiale, le GT 40 passano il traguardo in formazione e salgono sul podio, il cui posto più alto è occupato dall’equipaggio formato da Bruce McLaren e Chris Amon.

Nel 1967 è ingaggiato il pilota di origine italiana Mario Andretti che subentra ed esordisce sul circuito di Sebring con la Mark IV, vettura completamente nuova che nasce da uno studio già iniziato nel 1965.

La grande innovazione che caratterizza la Mark IV è l’adozione del telaio con struttura a nido d’ape e lamine d’acciaio, unica soluzione ritenuta adatta a sopportare le sollecitazioni del V8 da 7 litri che, dotato di cambio automatico a due rapporti Kar Kraft, è ora in grado di erogare una potenza di 500 hp.

Dopo un accurato periodo di collaudo svolto in California sulla pista di Riverside, la Mark IV guidata da Dan Gurney e A.J. Foyt con una media oraria di 218 km/h vince la 24 Ore di Le Mans ed entra così di diritto nell’albo d’oro della prestigiosa competizione.

I parametri fissati dalla FIA per la stagione 1968 decretano l’uscita di scena della Mark IV e il ritiro della scuderia Shelby-American.

I diritti sportivi sono acquistati dal team Wyer che, in orbita Ford, e sponsorizzato dal colosso dei carburanti Gulf continua a gareggiare con la Mark 2 regina di Le Mans anche nel 1968 e nel 1969.

Gli anni sessanta rappresentano un periodo di fondamentale importanza per la storia del marchio ovale, importanti cambiamenti coinvolgono anche la produzione di serie sancendo così un momento di totale cesura con il passato: le vetture concepite in questo decennio rappresentano al meglio la giusta sintesi tra solidità e contenuti sia tecnici che stilistici universalmente apprezzati.

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